ANTONIO SAGREDO
Canti del Bardo
(necchia)
dicembre 2005
Quando, quando il tempo avrà luogo nell’eternità?
***
Qui c’è una luce che tentò di offuscare le tenebre
- un altro martirio che
scantona nei dettagli,
come nella neve la traccia di un calco, l’urgenza
di un cammino e un rifugio da
celebrare senza fasti.
Non aveva mai compreso nel bene che lo testimoniava
perché era stato trafitto da folle
che non l’avevano amato mai.
Altri avevano reclamato, per me, una grazia
plenaria:
un conferimento che come un dono
l’avrebbe sollevato da una materia oscura
e disattesa.
Il mistico pane lievitò una
sorpresa irrazionale.
Simulava sul capezzale una sembianza che gli officianti
ornata avevano di melograni, letanie e incensi,
e cosparso ancora vivente e lucido sul corpo
il balsamo di una risurrezione non gradita.
Qui, nei momenti estremi l’interrogativo
discese dalle sfere come una
mazzata,
e decretò una risposta imperiale: mai la morte
dovrà essere un martirio accettato
senza lotta!
Antonio Sagredo
Bardonecchia, 23 dicembre 2007
a S.
E. e J. Š.
Theotókos
Io per Te, Madre, sono l’infanzia di Dio!
Perché con la fede il corpo si disforma?
È un digiuno degli occhi questa croce!
Sono gli occhi del digiuno questo calvario!
È da quando ero bambino che Ti consolo sul trono
(Eleusina, tutti i quadri e le icone lo testimoniano)
e ora mi costringi a scendere da questo legno!
Dovevi pensarci prima, Madre!
Una pietà di pietra non Ti si addice
da quando avevo il mio cuore così grande.
Da quale Roma fui tradito?
Tu hai la tua Sapientia, e io
ho la mia!
Quale Sophia mi vuole conoscere nell’Universo?
Quale Eterno Femminino mi ha ingannato demente
dalle mie origini a un Giudizio che non ci sarà mai?!
Tu invano mi indichi l’altro
prima di un incontro,
ma dal sentiero non hai sentito come scricchiola
la mia croce, come se fosse stata sempre la mia culla!
Tu hai la tua che ancora non s’invecchia e Ti consola:
ognuno non si rassegna alla sua, e sogna la Liberazione!
Perché dunque mi hai creato?
Tu che per me sei stata l’increata!
Per questo, forse, i miei occhi hanno un digiuno di visioni!
Perché, per la fede, il corpo si
disforma?
Io, per Te, Madre, sono stato
la memoria di Dio!
Antonio Sagredo
Bardonecchia, 25
dicembre 2007
Krisis
Ancora le Ceneri hanno generato i giorni della Pentecoste
da quando il Tempio fu consacrato ai mercanti delle tenebre
e questo fu un segno di un Dio in disarmo e distratto,
perché la sua delusione stimolò i saggi a giudizi irrazionali,
come se avessero smarrito nei loro sensi una ragione squilibrata.
La bilancia del Giudizio impazza e non sa che la dismisura:
un destino è un oblio che il tempo traduce in farsa recidiva!
Non ho che una compassione da spargere nelle menti disattese:
per una qualsiasi risurrezione non ho
donato quel diniego
che m’è stato decretato… mai ho sofferto per un martirio artefatto!
Dove Tu hai condotto la tua fede, Tu,
il senza-fede!
Al divino crocicchio hai incontrato tre demoni!
Hai lottato per riaverti dalla
terra! Ti sei incarnato -
prima della vita! Dalla mia soglia
ho scacciato le visioni:
avevo fame del concreto, non di paradisi o di mistiche ciarle!
Non ridere, per me!
Antonio Sagredo
Bardonecchia,
25-26 dicembre 2007
(notte fonda, gelida!)
Ti sei appassionato alle
Misericordie,
ma non per questo devo esserti
grato.
La visione ha bisogno di tabule concrete,
l’energia che ho sciupato m’ha
reso amaro!
Non ho dunque amato invano nessuna storia,
Io, che so le trame e gli intrighi delle Tue Scritture!
L’infelicità non appartiene al Mio delirio:
essere, non è un Mio problema, ma il Tuo!
Gli specchi sono umili e razionali come l’ulivo,
non quello dell’orto fatale che dietro le quinte
impaziente mescolava sangue e linfa, scambiando
le parole dei due attori, invertendo i loro destini.
Il rancore che Io medito ha un suo alibi imperfetto:
anche la neve è una Immacolata che le tracce nasconde
di chi si tradusse sulla soglia senza testimoni.
Dopo la Fine – il Tutto e il Nulla saranno come prima!
Antonio Sagredo
Bardonecchia, 26 dicembre 2007
(alba: sgocciolio della luce)
Cristo l’epicureo
Ne faceva di tutti i colori, davvero!
Scambiava perfino Sophia con Maddalena!
Non aveva credito se non con le maschere,
per questo Pierrot era suo intimo amico!
Per
vie sonnolente e nevose giravano di notte,
mano nella mano, fra chiassetti
e vicoli,
- gelosia di Giovanni! - finché le rosse lanterne sfinivano
i sembianti… ma Colombina, l’ascosa,
li rimproverava
con linguaggio da trivio in quella Bettola delle Ceneri,
perché l’ascesis fosse più eretta nel sudario peloso
delle notti… l’ultima scintilla fu spenta dal vino!
Sulle pareti pesci e leopardi nel Recinto delle Sofferenze.
Arlecchino rotava il randello come una fabula
e se lo rigirava a suo piacimento… Giudizio
dell’ultimo giorno, dove sei? quando arrivi? - la data
esatta
tradiva lo zelo eccessivo, come una condanna - l’attesa!
L’universo era stanco della sua fine annunciata:
voltò i tacchi e ricominciò paziente il suo dolce refrain.
Non aveva scelta, non voleva il ritorno dell’Eterno,
ma riconobbe il suo pianto dalla
luce - fra le tenebre!
Antonio Sagredo
Bardonecchia,
26 dicembre 2007
(pomeriggio plumbeo)
Ritorno dal martirio
1 – il boia
Non sapeva, lui, a quale santo volgersi, con chi trattare,
diceva: la qualità del supplizio
distingue la vittima!
Mi domandò: quale tortura scegli? E io: la
più rapida e dolce.
Allora, per te va bene, la graticola
di San Lorenzo!
2 – l’aspirante martire
Gli dissi: sai, non sono rassegnato, affronto sereno
il martirio nel nome di non so chi o che cosa.
Un lieve mio sorriso l’aveva ingannato. Allegri
ci scambiammo gli auguri a un futuro a rivederci.
3 - dopo il martirio
Non mi sento affatto sollevato… sono un po’ stanco.
Il boia ha pianto e io l’ho consolato con un bacino
sulle guance, aveva un cuore d’oro, ma in frantumi!
Aveva riso, prima della mia esecuzione!
Antonio Sagredo
Bardonecchia,
27 dicembre 2007
(mattino solare)
Il teologo-idiota e Giuseppe Desa
Il colto idiota dal pulpito raccontava bellamente
che la carità è lo stato naturale dell’uomo,
torcendosi sulla philautía,
come morso da una serpe!
Giuseppe lo guardava schifato e
con occhio asinesco.
Lui, succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti,
con preghiere, rosari e ceri accesi sugli altari, attendeva
a un’assenza di teofania, come se la sua ignoranza nota
al mondo fosse sparsa ovunque,
come un peccato da imitare.
Per eccesso di carità lui volava così in alto che gli uccelli
chiesero aiuto a quell’idiota, perché una colta istanza al Principe
dei Martiri almeno un terrore generasse in quel cuore semplice
e mai turbato… ma era caro a tutti gli umili perché le sue mani
erano sporche di sterco di maiale: una fatica devastante
diffondere il verbo alle bestie di cortile!
Il teologo è spaventato:
conosce la propria colpa, non la carnalità che combatte bellamente.
Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa - Santa Teresa!
Antonio Sagredo
Bardonecchia,
27 dicembre 2007
(crepuscolo)
Origine e destino dell’essere non è subire o creare visioni,
come se la volontà fosse un organo sognante della Conoscenza!
Recitavo un requiem ai concetti e alle teorie stralunate,
sapevo che la ragione illuminante è dove non è stata mai!
Non avevo che dinieghi, ricatti oscuri e perfidi misfatti
da raccontare a una folla che applaudiva solo la Menzogna!
Gorgonie e Chimere preparano un
banchetto alla Saggezza:
non vogliono essere affamate di profezie e rancide ossessioni.
Portavo a spasso i miei sogni col guinzaglio di credenze certe,
ma Canidia, nella città dei morti, teneva a freno le sue lampade!
Disputavo con le luci antelucane per bandire o esiliare i tramonti,
quando per la mia via consolare vidi trascinarsi un finto martire.
Usava gli strumenti del suo supplizio come campanelli… slogan,
pubblicità spicciola… urlava: i
roghi sono soltanto cristiane leggende!
Ma noi, miei cari, sappiamo in quale chiaro millennio viviamo:
il cortile dove la nostra vita
impazza è segnato dalle nostre origini!
Antonio Sagredo
Bardonecchia, 28
dicembre 2007
(dentro le ore antelucane)
Nemesi
Ancora la maschera languiva per un assolo di archi nell’orchestra,
la viola d’amore affilava gli occhi di Giuditta prima del misfatto,
ma la scena, senza parole, generava astragali e gesti virtuali
perché l’attore truccasse solo con
gli sguardi il festino della sua rovina.
Non ci resta che recitare un calvario per sperare in una farsesca
epifania,
la sue parole si sono aggrovigliate sulla lingua come una retorica
antica.
Schiodati sono le fini e i principi su quel legno come una finta
rivelazione,
non ho che da spartire e spargere la mia arte come sacramenti universali!
Sono giunto alla Stazione del Nulla
dove i corvi beccano la mia apoteosi:
non ho voglia di altri succursali, mi basta un quadrante in fiamme per
cantare!
Mi hanno applaudito come l’unico evangelo della scena… per la mia
liturgia
si sono spellate le mani! - per
l’immacolato martirio della mia Voce!
Ho spezzato le mie carni in divini gesti come gli atti degli
apostoli,
le parole ho sminuzzato come ostie
per un rinascimento epicureo,
l’irregolare sostanza del mio
delirio è pensiero e preghiera estrema.
La mia infanzia fu già un sacrificio di specchi, di maschere, e
sembianti!
Antonio
Sagredo
Bardonecchia,
31 dicembre 2007
(ore quattro del suo ultimo mattino)
a m. m.
Candelabri, che mi donate una vita in ascensione,
una farsa indegna è un canto peregrino
quando il corpo mi distilla un sangue recidivo.
Il sacro scambio nel banchetto s’è mutato in eros!
Dagli altari sono sceso per offrire alla mia voce
quei gesti inconsueti di una mano destra già recisa.
Una pagana serenità m’inquieta e mi affligge
se dalla scena mi giunge una buona novella.
Da tempo ho dimenticato la mia morte primigenia,
come una missione la fuga in una cella
oscura,
ma il pellegrino nel mondo è un saltimbanco
che dal Regno di Como lo spirito
deforma.
Come un testo classico la sua ventura ha fine
sul ruvido calvario di una giostra
desolata.
Ma testimoni pure una sola
risurrezione la mia parola
e io sarò quella luce che tentò altrove quelle tenebre!
Antonio Sagredo
Bardonecchia,
31 dicembre 2007
( pomeriggio, all’ora terza)